Il Messaggero, Giovedì 10 Giugno 1999, p. 22
(senza autore nell'edizione online)

 

Venezia, la 48esima Esposizione d'Arte

Un'edizione nel segno del rinnovamento e soprattutto dei giovani

E due protagonisti indiscussi: i cinesi e le donne. Con cinque italiane in pole position

Una Biennale in giallo e rosa

 

ONESTA' e coerenza intellettuale sono le qualità che vanno riconosciute ad Harold Szeemann, direttore di questa 48ª edizione dell'Esposizione Internazionale d'Arte-Biennale di Venezia che da sabato 12 al 7 novembre occupa gli spazi della Laguna. Non essendo Szeemann un critico d'arte ma un organizzatore di mostre, coerentemente con quanto più volte dichiarato il suo è stato un criterio di scelta basato sull'esperienza e sulle personalità da lui amate. Ciò con una particolare attenzione nei confronti dei giovani.

Partendo da una tale ottica risulta chiaro che due erano i possibili metodi operativi: orizzontale o verticale. Szeemann ha optato per la prima ipotesi. Da qui il titolo stesso da lui dato alla rassegna: dAPERtutto, APERTO over ALL, APERTO par TOUT, APERTO uber ALL. Che non è una sciarada ma il dichiarato rimando alla prima edizione della rassegna Aperto, organizzata nel 1980 assieme ad Achille Bonito Oliva, riservata ai giovani. Tenute fuori dalla storica sede dei Giardini di Castello, le loro opere furono ospitate prima nei Magazzini del sale alle Zattere e, successivamente, nelle Corderie dell'Arsenale. Una sorta di spartiacque che divideva gli artisti noti da quelli emergenti. Una tale divisione oggi non è più possibile, sostiene Szeemann. Donde il rinnovato criterio. I giovani a confronto con i grandi, i noti con i meno noti, senza distinzioni, dall'angolo, appunto, di una visione orizzontale.

Contaminazione dei linguaggi, dunque, superamento delle specificità, in un momento come l'attuale che vede l'affermarsi di una miriade di ibridi culturali continuamente a confronto con la cultura delle periferie urbane, con l'ansia per il nuovo millennio, con la precarietà del quotidiano, con la globalizzazione delle reti telematiche. Togliere alla Biennale quella patina di decadenza che il confronto con le analoghe manifestazioni internazionali sempre più aveva accentuato, era indubbiamente necessario. Solo che è l'omologazione il rischio incombente. Moderno non vuol dire abolire il giudizio di valore e cedere all'invasione massificante di un rituale basato sulla ormai arcinota video-art, video-installazione, fotografia, manipolazione multimediale. E questo è in qualche misura il limite della 48ª Biennale d'Arte.

La struttura orizzontale va bene. Svecchiare altrettanto. Non al punto però di abolire il padiglione italiano, com'era nel progetto originario. Le generali proteste hanno reso necessario rettificare un tale radicalismo e il suo ripristino sia pure in maniera virtuale. Perché l'insieme delle opere che lo rappresentano, firmate da Monica Bonvicini, Luisa Lambri, Grazia Toderi, Paola Pivi, Bruna Esposito (cinque donne, sì!), sono sparse lungo la mostra, tra il Padiglione Italia, le Corderie e i nuovi spazi acquisiti dalla Biennale (le Artiglierie, le Tese, le Gaggiandre). Altra caratteristica di questa Biennale è la folta presenza di artisti cinesi (venti su cento espositori). Per Szeemann il nuovo viene dall'Oriente e non più dalla presenza egemonica degli Stati Uniti.

Accennavamo alle cinque italiane scelte per il Padiglione italiano. Ma sono tante le donne espositrici. Sicure, vivaci, aggressive, ironiche, disinibite, sensibili al mondo d'oggi, per nulla indulgenti a coniugare un'arte al femminile, senza per questo smarrire, però, l'autocosciente concetto di identità femminile, le donne avanzano con passo incalzante alla conquista della ribalta dell'arte. E l'occasione veneziana lo conferma, a cominciare dai cinque giganteschi topi di Katharina Fritsch che, come una sorta di biglietto da visita, introducono alla visita del Padiglione Italia ai Giardini di Castello.

Una visita che è un continuo alternarsi di proposte, con al centro, come accennavamo, la massiccia presenza di video-installazioni. Elencarle significherebbe cedere a descrizioni ripetitive. Per cui preferiamo segnalare i due video di Grazia Toderi (la visione aerea di uno stadio accompagnata dal sonoro di una partita virtuale e lo splendore di un teatro vuoto animato dal fascino della grande musica) e, soprattutto, l'affascinante proposta di Pipilotti Rist incentrata su una multivisione. Tecnica e creatività si sommano facendosi specchio dei conflitti emotivi e psicologici delle memorie del passato che tornano ossessivamente a contaminare aspirazioni future. Per restare in tema ci piace segnalare lo stereoscope di William Kentridge, la ricerca di Sieverdin Zhuanghi mentre sempre evocativamente inquietante e psicoanaliticamente coinvolgente si propone la sala di Louis Bourgeois. Spazio dell'immagine e spazio dello spettacolo dunque si sommano motivandosi anche su presenze quali l'enorme graffito di Zitko, le installazioni del gruppo Oreste, l'intelligenza manipolatoria di Maurizio Cattelan (alle Tese), Bruna Esposito (alle Gaggiandre), Bruce Nauman (alle Corderie). Di rilievo le due retrospettive dedicate a Dieter Roth e a Kippenberger.