Francesco Tedeschi
dal catalogo della mostra "Vegetali Ignoti", Museo delle Arti Palazzo Bandera, Busto Arsizio, dicembre 2000

Quella di "Vegetali Ignoti" è un'esperienza tutt'altro che secondaria nell'arte degli ultimi anni, pur essendo rimasta un po' discosta dai luoghi in cui si afferma "l'arte che conta", quella che ha lo spazio maggiore nelle due o tre riviste specializzate, nelle due o tre gallerie di tendenza, presso i due o tre critici che vanno per la maggiore. Se e come abbia avuto una specifica importanza potrà essere maggiormente valutato in seguito, ma certamente essa è stata in rapporto con molte delle situazioni che appaiono oggi determinanti nel parlare di cosa sia l'arte nel nostro paese.

Si può dire anzi, senza nulla togliere alla sua particolarità, che "Vegetali Ignoti" non sia stata un'operazione unica e originale, in quanto inserita pienamente in una situazione più ampia, in un contesto storico e culturale al quale ha per la sua parte contribuito, dovendo riconoscere ai suoi inventori e ai più vicini loro collaboratori e corrispondenti, tra i molti artisti che hanno partecipato a questa impresa, il merito di aver saputo condividere esigenze sentite da più parti.

Mi riferisco a "Vegetali Ignoti" usando il passato, nel pensare alla rivista che forse ha concluso la sua esistenza, ma l'etichetta "Vegetali Ignoti" richiede l'uso del presente, perché si tratta di un'avventura sotterranea, carsica, che prosegue nell'attività e nelle iniziative che potranno nascere ancora sotto questa denominazione o dalle proposte dei singoli, e che ha già trovato spazio al di fuori della pubblicazione della rivista e dell'organizzazione di alcune iniziative espositive.

Di cosa si tratti, ora che i quaderni pubblicati sporadicamente per iniziativa dei suoi due padri, Luca Scarabelli e Riccardo Paracchini, sono quasi archiviati, fatti oggetto di cura da parte di chi li possiede, anche se non ancora motivo di collezionismo antiquario, sembra abbastanza chiaro. Ce lo dicono loro stessi, in altra parte di questo volume-catalogo, in una storia verosimile, per quanto leggera e condotta con quel tono scherzoso che è proprio ai momenti migliori del loro modo di proporsi. É la storia di una scommessa tra due amici, che con alterne fortune partecipano in prima persona della lotta per la sopravvivenza nel campo dell'arte. La scommessa di trovare qualcosa che possa servire - come dicono nella cronistoria di Vegetali Ignoti - a "dare sfogo alla nostra voglia di protagonismo e al nostro ego instabile", qualcosa che dimostri il loro modo di situarsi dentro e fuori del mondo dell'arte, del quale sentivano di partecipare in modo incompleto, "qualcosa in bilico tra il mondo delle idee e le cose", sapendo di ritrovarsi così su una frontiera, che attinge da atteggiamenti derivati dalle "neoavanguardie", ma si inserisce in modo scanzonato in una dimensione lontana da quelle, dove i confini tra la posizione teorica e l'operazione creativa non sono più così netti.

L'intenzione originaria va oltre quel fondo esistenziale e narcisistico che ancora si ritrova negli artisti di oggi - e forse di tutti i tempi - per rivolgersi alla necessità di superare la condizione autoriale, di allargare la propria azione ad altri in termini orizzontali, di spostare l'attenzione dall'opera appesa alla parete di una galleria all'invenzione rivolta a un supporto comunicativo diverso, di creare uno spazio per sé e per altri, che sia aperto alle idee nel senso più indefinito, espresse in parole, in immagini, in interventi di vario genere. Con questi obiettivi, fin dalle origini dell'iniziativa, nel 1994, Scarabelli e Paracchini si sono inseriti in un contesto che da più parti riproponeva simili aspirazioni.

Come osserva Paolo Campiglio nel suo recente intervento su questo tema, la nuova crisi dell'autorialità, che riprende parzialmente quanto avviato dall'arte concettuale come fine di un'arte di oggetti, è indice della risposta a un mercato che esalta l'"ipertrofia" di autori la cui firma è sufficiente a un'esaltazione in termini promozionali del loro "prodotto", qualunque esso sia ; paradossalmente, così, il superamento della condizione dell'autore tradizionale in molti casi porta con sé l'esaltazione di una mera denominazione - la firma come feticcio - apparentemente svuotata di materialità, problema che si è riproposto continuamente a partire dalle operazioni messe in atto da Marcel Duchamp o da Piero Manzoni, fino all'insegnamento di Joseph Beuys.

Accanto a intenzioni provocatorie o nichiliste, l'uso di definizioni e strumenti impersonali, però, segnala la necessità di agire in modo non individuale, sia per elaborare una condivisione di poetica, sia per creare situazioni alternative al sistema riconosciuto, ma anche, e soprattutto, perché è proprio di molta arte, o di molti artisti, oggi, intervenire non tanto sul fare quanto sui rapporti con gli altri, nella cerchia ristretta degli artisti e in quella allargata dell'intera società, nuovo strumento, più che destinatario, dell'atto artistico. Si parla tanto ora, perciò, di un'arte "relazionale", che agisce e si occupa di relazioni e comunicazioni anziché di oggetti metaforici o poetici. Il valore metaforico e poetico sarà preservato o affiorerà dal modo in cui l'operazione attivata troverà una sua manifestazione a livello di esperienza o anche solo di idea, in questo caso anche di pagina stampata.

A loro modo, i "vegetali ignoti" hanno posto tale questione, facendo da terreno di scambio e quindi di "relazione" con autori contattati direttamente, che hanno partecipato alla rivista e alle mostre da loro proposte sotto tale definizione con interventi di vario genere, e altri, anche del contesto internazionale, che sono stati presi in considerazione come figure di riferimento. Gli accostamenti possono apparire talvolta casuali, ma sono da considerare alla luce di un genere di collaborazione non finalizzato a una poetica unitaria, quanto piuttosto all'uso di uno spazio in cui i due autori-curatori hanno disposto i materiali raccolti secondo criteri che non sempre necessitavano di una motivazione. Ciò che si nota, infatti, sfogliando le pagine della rivista, è la mancanza di una dichiarazione che specifichi ragioni e motivi dell'operare, così come l'"editoriale" è lo spazio in cui riportare un'immagine o un testo di economia domestica o agraria - le "Norme generali per la coltivazione" - o altro ancora. In questo senso, ci si è guardati dal suscitare dibattiti forzati, ogni intervento essendo stato svolto a sé, come parte di una collana che non aveva bisogno di un intreccio per svilupparsi attorno all'unico filo del riconoscimento all'interno di tale dimensione, seria e faceta allo stesso tempo. Questo tono, inoltre, corrisponde a un momento in cui la moltiplicazione delle possibilità di intervento da parte dell'artista, degli argomenti su cui intervenire, e dei mezzi attivati, non richiede posizioni unitarie, che potrebbero risultare semplificatorie. Talvolta, addirittura, le pagine della rivista sono servite a divulgare situazioni di contenuto sociale, come la campagna per l'abolizione delle mine anti-uomo, o le iniziative dei "sans-papiers" di Parigi.

Dicendo, però, che "Vegetali Ignoti" ha partecipato dello spirito del tempo, di questo breve lasso di tempo che prendiamo in considerazione e che è praticamente confuso con il presente, penso in primo luogo alle corrispondenze esistenti da una parte con proposte come quelle di Maurizio Cattelan, nel suo lavorare attorno alle convenzioni del mercato e delle strutture espositive, attraverso una spettacolarizzazione gratuita degli eventi, o di Cesare Pietroiusti, maestro nell'attivare iniziative che proseguono attraverso energie e idee diffuse, come quando nel 1996 alla Quadriennale di Roma ha usato lo spazio concessogli per permettere ad autori amici e sconosciuti di partecipare alla rassegna nazionale. Riflessioni successive dello stesso Pietroiusti hanno posto il problema dei limiti di quella sua stessa intuizione, che è stata comunque ascritta ad un unico autore, colui appunto che aveva avuto l'idea ed era stato invitato alla manifestazione, sollecitando però ugualmente la necessità di concepire un modo di agire "in comune" con altri, a livello di scambio di esperienze e di possibilità di proporre una riflessione sul sistema di produzione e diffusione dell'arte. Da momenti come questi ha preso piede, poi, quel dialogo più serrato che ha portato al clima delle settimane di scambio fra artisti di varia provenienza, organizzate nelle estati del 1997 e 1998 a Paliano, e la nascita del "Progetto Oreste", che ha avuto la sua "affermazione" pubblica più alta con lo spazio dedicatogli nel Padiglione Italiano della Biennale di Venezia del 1999 . Esperienza, quella del "Progetto Oreste", nella quale sono parimenti presenti autori di diverso genere, uniti soprattutto dall'agire con interventi che riguardano il piano delle "relazioni", e quindi di un vissuto usato in termini artistici, e della "comunicazione", per l'attenzione posta a quegli "strumenti del comunicare" che non si vogliono subire, ma usare in altro modo.

Rispetto a questo panorama, che andrebbe considerato nelle singole personalità che ne costituiscono le figure più rappresentative o originali, l'attività di "Vegetali Ignoti" risulta sostanzialmente sintonizzata, anche se nel modo di agire e nelle scelte dei due artefici del progetto, Scarabelli e Paracchini, l'attenzione per l'opera non viene meno e si possono notare posizioni meno definite nell'insieme dei materiali raccolti nella rivista e nelle altre iniziative promosse all'insegna di "Vegetali Ignoti".

Una loro dichiarazione di poetica Luca Scarabelli e Riccardo Paracchini ce l'hanno data attraverso l'insieme di ciò che hanno presentato nel loro quaderno, e soprattutto nelle pagine da loro direttamente firmate, dove troviamo scritti di Scarabelli dedicati a Mark Dion, Nicola Pellegrini, Emil Lukas, Günther Förg, Erwin Wurm - oltre ai suoi articoli su qualche importante mostra a tema e su ciò che fa da sfondo ad alcune iniziative internazionali - e di Riccardo Paracchini per Nicola De Maria, Bernd Vossmerbäumer, Shirin Neshat, Sarah Moon, Pipilotti Rist. Scelte non casuali, perché ci dicono qualcosa sulle corrispondenze incontrate con autori che costituiscono uno spettro di ricerche che vanno dall'archeologia del presente a una concettualizzazione del gesto, nelle preferenze indicate da Scarabelli, motivi che in vario modo ritornano nella sua stessa produzione, e un orizzonte che va dalla pittoricità "emozionale" di De Maria a diverse figure capaci di affermare il femminile nell'arte per Paracchini, come mi pare di poter riconoscere nel raccogliere le sue altre attenzioni, sollecitate dal fascino, quasi morboso, su di lui esercitato appunto dal mondo femminile, sia nelle attenzioni rivolte a quelle donne che vengono da lui idealizzate - indicativo, in tal senso, il testo dedicato a Maria De Medici in "Vegetali Ignoti", n. 11-12, 1999, pp. 2-3 - sia nel farne soggetto essenziale per il suo dipingere.

"Vegetali Ignoti" ha rivestito per loro, credo, il valore di una palestra nella quale porsi in confronto con quelle esperienze che hanno individuato come contigue al loro essere e agire, dove proporre spazi per altri, anche attraverso le mostre organizzate in luoghi inconsueti, e dove, attraverso i testi elaborati, svolgere quelle considerazioni utili al loro stesso lavoro artistico personale.

In questo caso, a seguito di diverse occasioni espositive, e soprattutto della recente mostra nel Chiostro di Voltorre, le loro realizzazioni vertono principalmente sulla pittura, intesa sia come strumento e fine dell'operare, soprattutto nei colori di Paracchini che coprono frammenti di immagini, sia come sviluppo di un percorso teorico e concettuale, per Scarabelli, che ha avuto recentemente nella fotografia dei "paesaggi malati", come nelle installazioni dei "Fallen color field" e di "Passi sparsi", esiti legati all'analogia con altre vie, dove la pittura, pur evitata, era implicitamente presente.

Paracchini ripresenta alcuni dipinti in cui le sagome di donne tratte da pubblicità e giornali di moda sono rivestite di un bianco angelicante e rese anonime dalla cancellazione delle teste; il blu di fondo sposta ulteriormente l'attenzione dal presente verso una concezione visionaria dell'apparizione della figura.

Scarabelli, invece, prosegue il suo personale cammino nel recupero di una possibile significazione del gesto pittorico, dopo averlo annullato, con un quadro a olio dalla qualità pittorica grezza e rarefatta, accanto a quei lavori fotografici risultanti da elaborazioni di immagini "sbagliate", i "paesaggi malati" appunto, la cui interpretazione oscilla dal significato concettuale dell'operazione sull'evidenza della cosa a quello dell'effetto estetico autonomo, implicitamente pittorico.

L'esperienza di "Vegetali Ignoti" appare qui allargata alle persone che più hanno condiviso con i due primi fautori del quaderno le proposte provenienti da tale denominazione, vale a dire Al Fadhil Ukrufi, Carlo Buzzi e Dario Molinari.

Accennando ai loro lavori, mi piace cominciare da Carlo Buzzi, che di "Vegetali Ignoti" si fa sostenitore, comprando all'interno di questo catalogo uno spazio che non è da intendersi come quello solitamente dedicato a un artista nella pubblicazione relativa a una mostra alla quale partecipa, ma in senso propriamente pubblicitario. Quest'azione corrisponde al suo modo di essere e di agire, essendo comunque il mondo della cartellonistica pubblicitaria quello al quale egli fa costante riferimento nei suoi interventi maggiori, realizzati mediante affissioni di manifesti con la sua effigie variamente mascherata nello spazio pubblico, con uno spiccato senso di contaminazione tra linguaggio artistico e i processi della comunicazione visiva. Già Carlo Buzzi aveva effettuato un'operazione similare e ancor più autoreferenziale nel promuovere e nello "sponsorizzare" un numero della rivista monograficamente dedicato a lui, dando forma al desiderio di chi è curioso di vedere cosa gli altri hanno da dire sul suo conto, più che a quello di avere un catalogo o un libro autoprodotto.

Inoltre, anche in questo caso Buzzi sottolinea la sua autopromozione attraverso i siti internet nei quali ha raccolto la documentazione relativa al suo lavoro. Il sito internet personale non è oggi da considerarsi come operazione originale in sé, in quanto chiunque può dotarsene, tanto che nelle prime riflessioni complessive sull'arte in internet non sono contemplate manifestazioni di carattere primariamente documentativo, ma solo quegli interventi appositamente pensati per la rete , ma risulta significativo che tutti gli artisti implicati in "Vegetali Ignoti" abbiano attivato operazioni di comunicazione e informazione usando internet con la stessa "artigianalità" con la quale si sono dedicati a costruire e editare una rivista in proprio.

Al Fadhil, il cui lavoro, come dice lo stesso Scarabelli, si conforma camaleonticamente alle situazioni nelle quali viene presentato, e che ha partecipato operativamente a "Vegetali Ignoti" anche nella fase di organizzazione delle mostre prodotte, questa volta proporrà un'installazione sonora che suona a tributo quasi "boltanskiano" agli artisti del passato importanti nella sua formazione, anche solo dal punto di vista dello studio scolastico, secondo una scelta e una sequenza che è indice delle proprie passioni o del modo personale di recuperare nella memoria le tracce dell'arte del passato.

Dario Molinari, invece, coglie l'occasione per realizzare un lavoro da tempo progettato, Jane's Crib, nato, come spesso le sue opere, da notizie tratte dalla cronaca, che fanno scattare associazioni di idee per attivare metaforicamente un giudizio sulle ipocrisie della cultura del nostro tempo, partendo dal mondo della sperimentazione scientifica e delle trasformazioni tecnologiche alle quali il vivere umano è sottoposto.

Jane's Crib produce l'incontro tra la ricerca di un laboratorio, il Jackson Lab, dove una ricercatrice, Jane Barker, ha allestito, secondo una notizia riportata dalla rivista scientifica "Nature", un presepe per i topi usati come cavie di esperimenti di mutazione genetica. L'installazione di Molinari parte da qui, ricostruisce in modo realistico e paradossale tale situazione, di per sé irrazionale, con una dose di cinismo propria alle modalità della ricerca scientifica che così sembra voler prendersi cura di quegli animali che rielabora in modo poco naturale. L'operazione contiene altri riferimenti a suoi lavori precedenti, alcuni dei quali legati ancora alle sorti dei topi, riprendendo quei percorsi complessi da lui attivati in altre occasioni, come in Courtesy Switzerland, esposto nella mostra Problemi di luogo da Lorenzelli all'inizio del 2000 .

Oltre i contributi di questi, che costituiscono il nucleo originario attivo attorno a "Vegetali Ignoti", occorre tener presente i legami con molti altri autori, che hanno partecipato in qualche modo alla rivista, con interventi e proposte di riflessione, che segnano un panorama aperto a diversi contributi, che vanno dall'intelligente testo di Gianni Caravaggio a proposito dell'arte concettuale (numero 11-12, 1999, pp. 6-10), all'intervento-opera di Cesare Pietroiusti (numero 10, autunno-inverno 1998, p. 8), e quelli di altri che andrebbero tutti elencati, proponendo un ricco panorama dell'arte di oggi (hanno infatti progettato interventi appositi per le pagine della rivista Liliana Moro, Elizabeth Hölzl, Margherita Manzelli, Massimo Bartolini, Pierluigi Fresia, Ottonella Mocellin, Nazzareno Guglielmi, Filippo Falaguasta, Manuela Cirino, Andrea Busto, Laura Ruggeri, Giannetto Bravi, Botto & Bruno, Silvio Wolf, Angelo Barone, Giulia Caira, Carlo Dell'Acqua, Gabriele Jardini, Francesca Petrolo, Maggie Cardelùs, Paola Sabatti Bassini, Sara Serighelli, Barbara Fässler, Marianne Heier, Bruno Muzzolini, e qualcun altro ancora), dagli scritti di Giancarlo Norese, alla documentazione dell'operazione paradadaista in cui lo stesso Norese, insieme a Mauro Maffezzoni, ha realizzato un quadro di paesaggio "padano", presentato alla 1a Biennale d'Arte Padana nel 1998, ma non accettato dalla giuria (numero 9, primavera-estate 1998, p. 23).

Altre ancora sono le piccole "imprese", anche simpaticamente provocatorie, nate in questi anni nell'ambito di "Vegetali Ignoti", come l'ideazione del Primo Premio Piccola Fontana di Trevi, riuscita rielaborazione ironica del premio promosso dalla rivista "Flash Art", o l'invenzione di un "Archivio dei Critici", sottoposto all'attenzione degli artisti, ma queste e altre proposte ancora, che un po' ci mancheranno, nel caso paventato in cui la pubblicazione non abbia altri episodi, sono ora patrimonio di una storia dell'arte contemporanea recente, piccola o grande che sia, nella quale l'esistenza di "Vegetali Ignoti" è riuscita a dare almeno un segno per poter guardare con uno spirito meno compassato e calcolatore quanto in questo piccolo mondo accade.

Francesco Tedeschi